Mentre scrivo questa lettera, il mio sguardo appannato si perde oltre il vetro della finestra: la pioggia cade da giorni, instancabile, come se il cielo piangesse una storia dolorosa che non conosce fine.
Quando sei entrato nella nostra vita, eravamo ancora piegati dal dolore per la perdita di Zeus.
Non volevo altri pelosetti, era fuori discussione, soprattutto in quel momento.
La sua scomparsa ci aveva svuotati, stremati, lasciandoci in un buio completo.
Il tempo aveva provato ad addolcire quella ferita, ma dietro i sorrisi il dolore bruciava ancora.
Ma, come scrivono spesso nei romanzi… poi sei arrivato tu.
Piccolo, inaspettato, meravigliosamente fragile come un fiorellino che sboccia in primavera.
Da lì è cambiato tutto.
Il nostro incontro è stato strano…
Ero dai miei quei giorni e mentre ero uscito in macchina con mia sorella, imboccai una strada per sbaglio.
Una deviazione casuale… o forse il destino.
Ed lì che ti ho visto: raggomitolato sull’asfalto, una pallina bianca con la codina grigia, un soffio di vita nel caos del mondo.
Accostai e scendemmo a prenderti.
Tu ti avvicinasti, senza paura, con quegli occhi enormi celesti come il colore del cielo di quella giornata di sole.
Miagolavi mentre eri in macchina, come per ringraziare o forse per la fame. Effettivamente eri davvero ridotto male.
Ti portammo da una nostra amica volontaria poco distante da lì, che ti diede le prime cure, ma fu solo quando ti venni a riprendere e ti portai a casa a Fiumicino che il miracolo iniziò davvero.
Da quel giorno, Hermes, la nostra anima ricominciò a respirare. Non ce ne accorgemmo, fu una cura graduale e silenziosa.
Dove c’era buio riportasti luce.
Dove c’era malinconia riportasti sorrisi.
Dove c’era vuoto, amore.
Un nuovo inizio.
Era come se tu ti fossi preso carico tra le tue zampine di quel peso sulle nostre anime e lo avessi trasformato in qualcosa di nuovo.
Sai, prima del tuo arrivo, io avevo la paura anche di sfiorare un gatto… con te dormivo abbracciato, ogni notte. Ci credi?!
Eri buono e affettuoso come nessun altro.
Non ci hai mai graffiati, e i morsetti che davi erano solo il tuo modo buffo di giocare con me.
Sul divano ti appisolavi accanto a noi e tra le lenzuola cercavi il nostro calore.
Amavo baciarti quel pancino rosa e quelle piccole e soffici zampette da coniglietto ogni volta che tornavo a casa. Aprivo la porta e tu eri lì: in piedi pronto per essere sollevato come un bambino.
Neanche in bagno mi lasciavi solo: bussavi con le zampette, spingevi la porta, entravi e correvi a nasconderti in salone come un folletto birbante appena ti sgridavo perché, in fondo, sei sempre stato un grande appassionato di nascondino e appena ne avevi la possibilità miagolavi per giocare.
Avevi continuo bisogno d’affetto. Ci cercavi sempre, sempre.
Anche al mio risveglio, eri lì.
Avevamo avuto un cane che si comportava da gatto… e un gatto che si comportava da cane.
Un paradosso.
La notte, quando giungeva l’estro e mi dedicavo alla scrittura di trame per i miei libri, anche quelli dedicati a te, eri a farmi compagnia. Ti acciambellavi sul mio collo o sul mio braccio, respirando piano, e quel suono era pace per la mia anima.
Poi un giorno, arrivò quella parola.
Quella che brucia ancora oggi.
Felv. Leucemia felina.
Il veterinario ogni volta spiegava, parlava… ma io non capivo.
O forse non volevo capire.
Basta mantenerla sotto controllo, no? Mi dicevo.
“Non esiste nessuna cura, e le aspettative di vita sono molto ridotte,” concluse.
Una condanna.
Un’ingiustizia.
Ero ignaro di queste sigle, ero ignaro ci fossero malattie così terribili.
Il problema vero è che per lo Stato italiano le cure non esistono, ma invece lo sono eccome, ma probabilmente preferisce dare spazio al sistema marcio di speculazione che permette alle cliniche veterinarie di arricchirsi su beffa di chi ama queste creature. La via più semplice.
Per questo nessun veterinario ne parlava o aveva il coraggio di farlo. Non sono cure liberamente commerciabili ed è scomodo parlarne.
Per molti di loro un gatto FELV è praticamente e automaticamente spacciato.
Ma non per noi. Non ci siamo arresi. Noi abbiamo combattuto.
Se vi dicessero che il vostro piccolo avesse una malattia incurabile, voi vi arrendereste all’arretratezza del Paese dove risiedete?
Abbiamo cercato ogni strada alternativa possibile, ogni terapia, ogni speranza.
Abbiamo sfidato il destino, gli abbiamo strappato mesi preziosi.
Ma nonostante questo tu non sei mai stato davvero libero dal dolore… eppure sei stato amato.
Amato in un modo totale.
Ogni momento insieme era un frammento di eternità che echeggia nella mia mente:
quando frugavi tra le magliette mentre facevo il cambio stagione,
quando inseguivi gli scontrini accartocciati che ti lanciavo dopo aver aperto o imballato confezioni,
quando ti appisolavi sul mio petto o sul mio braccio e ti osservavo, ti ammiravo.
Sapevo che sarebbe giunto presto il momento che non avrei più potuto vivere di quella preziosa normalità.
E infatti non passò molto prima che giunse il precipizio.
Un mese in cui tutto è capitolato.
Hai smesso di mangiare, di bere, di comportarti come prima. Eri stanco.
Cliniche, ricoveri, analisi.
Negli ultimi giorni ti avvicinavi ai luoghi nascosti, come se cercassi un angolo per sparire dal dolore.
Io ti richiamavo, piangendo, sperando che ti voltassi, che ti avvicinassi… ma non lo facevi.
Eri stanco, ormai camminavi a fatica.
Piccole riprese, ingenue speranze.
Giorni interi passati a cercare risposte che nessuno sapeva dare o che ripetevano ogni volta.
“Le analisi vanno bene… purtroppo è la FELV che cammina”, ci dicevano continuamente.
Ormai il tempo era finito ma io imploravo, urlavo al mondo, cercavamo senza soste nuove cure a Roma, Milano, ovunque.
Abbiamo provato tutto. Tutto.
Ma nulla ha fermato quella maledetta e invisibile malattia che ha continuato a distruggere ogni cosa.
Ti ho visto spegnerti giorno dopo giorno tra le mie braccia.
Sotto i colpi letali e vigliacchi di questa malattia… prima di lasciarti andare.
…ed è tornata l’oscurità su di noi.
Non ero con te quando ti sei addormentato, quando sei andato via in silenzio, in quella clinica di sconosciuti, e questo pesa sulla mia anima come una condanna.
Avevamo sperato che portarti in ospedale ti avrebbe salvato, ma non è andata così.
L’unica cosa che mi da sollievo, è sapere che non ti sei accorto del dolore, che i farmaci ti hanno permesso di spegnerti senza crampi né dolori.
Continuo a guardare le tue foto. Torni nella mia mente in ogni mio gesto quotidiano, ogni angolo della casa mi ricorda te.
Sono i momenti del risveglio, quelli in cui la mente è più lucida e agganciata alle abitudini, che fa più male. Istintivamente allungo le mani e ti cerco tra le coperte, ma non ti trovo sperando sia solo un brutto incubo.
Come è possibile che non vedrò più il tuo musetto? Che non potrò più abbracciarti, baciarti?
Mai più?
Siamo stati troppo poco insieme: perché lo stesso destino che ci ha fatto incontrare ci ha divisi cosi presto?
Perché? Che senso ha tutto questo?
E’ questo senso di impotenza che mi mette in ginocchio.
E questa inquietudine che continua a farmi vacillare.
Ma in realtà conosco il motivo, questo mondo non ha pietà per la purezza. Per creature preziose.
Anche se per un breve tratto rifarei ogni singolo passo accanto a te, anche se ciò significherebbe ritrovarmi qui di nuovo a soffrire così tanto.
Abbiamo fatto il possibile per donarti una vita felice, permetterti di conoscere il significato di famiglia, di affetto, di pace… e tu in cambio ci hai inondato di luce.
Una nuova aurora.
Sento ancora il suono dei tuoi passi lungo in corridoio, la sensazione del tuo corpo accoccolato sul mio collo mentre sono in studio.
Non eri solo un gatto.
Eri casa.
Eri il mio piccolo.
Mi auguro davvero che esista qualcosa oltre la morte, perché un giorno spero di ritrovarti.
Ma se chiudo gli occhi, ti vedo.
In un posto dove nessuna malattia può sfiorarti.
Dove tu e Zeus correrete e giocate insieme oltre il ponte dell’arcobaleno, tra nuvole morbide e cieli limpidi.
Perché la FELV potrà anche aver distrutto il nostro sogno, la nostra vita insieme, ma non potrà mai e poi mai scalfire il nostro amore.
Perché l’amore vero non finisce. Si trasforma.
Il nostro legame è indissolubile, oltre il dolore, oltre il tempo.
Il tuo nome è Hermes, come il messaggero degli Dei.
E questo hai fatto, hai portato un messaggio di inestimabile bellezza e valore che custodirò con gelosia fino al giorno in cui ci rivedremo.
Come canta Giorgia in “La cura per me“, tutto passa, ma scordarti non so ancora come si faccia...
Ti abbiamo amato infinitamente e lo faremo ancora. Per sempre.
Ciao amore mio.
- Livio Kids, Marco (Autore)
- Livio Kids, Marco (Autore)

